CLAUSOLA SOCIALE - CARATTERE DI FLESSIBILITA' - NECESSARIO - RAPPORTATO ALLA LIBERTA' D'IMPRESA (50)
La clausola di cui si discute, ossia l’art. 2.3. del capitolato d’oneri, rubricata “Clausola sociale” prevede: “Al fine di promuovere la stabilità occupazionale nel rispetto dei principi dell'Unione Europea, e ferma restando la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto, l’aggiudicatario del contratto di appalto è tenuto ad assorbire prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze dell’aggiudicatario uscente, come previsto dall’articolo 50 del Codice, garantendo l’applicazione dei CCNL di settore, di cui all’art. 51 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.”
Il citato CCNL di settore, a sua volta, all’art. 4, rubricato “Cessazione di appalto” e nel dettaglio alla lettera b), applicabile al caso in esame (come evidenziato anche in sede di incontro sindacale del 19 luglio 2019), prevede “in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l’impresa subentrante -ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio -sarà convocata presso l’Associazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente, ove possibile nei 15 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le Organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell’ambito dell’attività dell’impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità.”
Dalla lettura delle due disposizioni, emerge immediatamente come non sia riscontrabile un onere di integrale assunzione del personale già dipendente, sia sulla scorta della clausola contrattuale (che subordina l’assunzione alle vicende organizzative dell’appalto e alla tipologia di prestazioni richieste) sia sulla base del CCNL (che parimenti prende atto della necessità di mantenere la situazione occupazionale nei limiti della nuova situazione lavorativa).
In questo senso, il richiamo operato dal primo giudice alla giurisprudenza in tema di interpretazione della cd. clausola sociale rende evidente la ratio cogente che impedisce una lettura rigida di tali modi contrattuali di tutela dei lavoratori, che devono essere sempre contemperati con la libertà di organizzazione dell’imprenditore. Ed infatti la giurisprudenza ha individuato il necessario carattere di flessibilità della clausola sociale, ponendola nell’ambito della libertà d’impresa e ponendola in un territorio i cui confini sono delimitati da un lato dalle esigenze della stazione appaltante (che non possono comunque imporre un riassorbimento integrale del personale, Cons. Stato, VI, 24 luglio 2019, n.5243 in quanto verrebbero a limitare eccessivamente la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente) e dall’altro da quelle dei lavoratori (perché l’elasticità di applicazione della clausola non può peraltro spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la stessa, Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n.3885).
Deve quindi rimarcarsi come la clausola sociale non può avere un’applicazione rigida in quanto l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà di impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (Cons. Stato, III, 30 gennaio 2019, n. 750; id., III, 29 gennaio 2019, n. 726; id., III, 7 gennaio 2019, n. 142; id., III, 18 settembre 2018, n. 5444; id., III, 5 maggio 2017, n. 2078; id., V, 17 gennaio 2018, n. 272; id., V, 18 luglio 2017, n. 3554).
Non può allora condividersi la lettura operata dalla parte appellante per cui “È manifesta, quindi, l’intenzione della S.A. di garantire con la clausola sociale i livelli occupazionali attualmente esistenti, in coerenza con l’art. 4, lettera a, del CCNL di categoria”, in quanto tale obiettivo non è perseguibile in sé, ma è collegato alla organizzazione dell’imprenditore aggiudicatario, e non è nemmeno coercibile, come evidenzia la giurisprudenza sopra citata.
Pertanto, il primo giudice ha fatto buon governo dei principi qui applicabili quando ha affermato che afferma che “la S.A. ha indicato il monte orario annuo di 54.474 ore solo quale generale soglia di salvaguardia dei livelli occupazionali, ferma la possibilità per gli operatori economici di armonizzare il monte orario più adeguato alle proprie esigenze organizzative”. Con questa lettura, il T.A.R. si è mantenuto nei limiti sopra indicati, impedendo una lettura estrema della clausola, incompatibile con il sistema ordinamentale.
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